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FOCUS
Un’economia etica… e utilitaristica
 

Nuove esigenze internazionali alla vigilia della Conferenza di Glasgow

 
 
 

A Glasgow, dove in autunno si terrà la COP26, bisognerà onorare gli impegni presi con l’Accordo di Parigi per garantire un futuro migliore al nostro ...

 
 

 

mercoledì 31 marzo 2021

 

 

A Glasgow, dove in autunno si terrà la COP26, bisognerà onorare gli impegni presi con l’Accordo di Parigi per garantire un futuro migliore al nostro pianeta. L’Accordo di Parigi ha fatto nascere nuove speranze, ponendo le condizioni affinché la classe dirigente mondiale, o buona parte di essa, decidesse di lottare contro i cambiamenti climatici e le relative gravi conseguenze. Naturalmente non esiste accordo che risolva istantaneamente i problemi, come dimostra la crisi climatica che in questi anni ha continuato ad aggravarsi, con lo scioglimento progressivo dei ghiacci, la Corrente del Golfo al suo più basso livello da un millennio a questa parte, inondazioni e siccità che minacciano vita e mezzi di sussistenza in tutto il globo terrestre, e così via.

A fine febbraio, le Nazioni Unite hanno lanciato un segnale di allarme ben chiaro, un rapporto di “allerta rossa” sugli obiettivi di riduzione delle emissioni in ottica 2030, molto lontane dalla tabella di marcia che si era prospettata a Parigi nel 2015. A Glasgow si dovrà affrontare la questione, mettendo alle strette i riluttanti, impegnando nel modo più efficace possibile le parti in causa riguardo i temibili gas a effetto serra e la neutralità delle emissioni di carbonio. Inoltre, c’è bisogno di un pacchetto di sostegno ai Paesi in via di sviluppo, sempre come previsto a Parigi. Il cammino verso questo obiettivo comincia adesso con la Conferenza ministeriale sul clima e lo sviluppo, organizzata dal Regno Unito, e seguirà con le riunioni del FMI, del G7 e del G20. L’aiuto al mondo ferito e malato deve sempre andare di pari passo con il sostegno ai soggetti più deboli, bisogna quindi complimentarsi per la decisione presa pochi giorni fa dai ministri delle finanze del G7, che hanno deciso di creare dei fondi di riserva d’urgenza per i paesi in via di sviluppo, provati dai problemi economici dati dalla pandemia e sempre più incerti e sofferenti.

Ma questo deve essere solo l’inizio di una azione di ampio raggio, protesa a offrire un alleggerimento del debito e un sostegno finanziario più organizzato, con un piano di qualità a lungo termine, per coloro i quali ne hanno più bisogno. Del resto l’impegno a non lasciare nessuno indietro è forse l’aspetto centrale dell’Accordo di Parigi; dopo sei anni, questo mantra è ancora attuale, chiedendo a tutte le economie forti di occuparsi dei deboli. E’ imperativo che i Paesi forti onorino il loro impegno collettivo a consacrare almeno 100 miliardi di dollari all’anno, per aiutare le nazioni più minacciate dalle terribili ripercussioni del riscaldamento climatico. Il summit internazionale Clima e Sviluppo, previsto per fine marzo, si adopererà per mobilitare le volontà attorno a questo obiettivo. Questo sarebbe un segnale molto forte di autentica lotta ai combustibili fossili, di questo passo più vicini alla loro fine. In questo solco, il Regno Unito e la Banca Europea degli Investimenti si sono impegnati a rifiutare il loro sostegno a tutti i progetti implicanti combustibili fossili.

A inizio marzo, la “Powering Past Coal Alliance” che intende accelerare sulla chiusura delle centrali a carbone, ha accolto l’adesione dell’Ungheria, dell’Uruguay e della città di Tokyo, portando a 123 il numero dei suoi membri. Queste alleanze sono essenziali, solo operando insieme si potrà mantenere alla portata l’obiettivo di un innalzamento delle temperature molto moderato. Non solo, ma queste cordate dovrebbero rappresentare un traino per tutti i paesi del G20, i cui sforzi economici e culturali sono imprescindibili per le sorti future del pianeta e della stessa vita umana. Il settore privato e il settore finanziario dovranno anch’essi giocare un ruolo diverso e più attivo, in questa delicata partita. Il modo in cui ricostruiremo le nostre economie, dopo la fine della fase acuta della pandemia, avrà un profondo impatto a ogni latitudine: iniziative come la campagna delle Nazioni Unite “Race to Zero”, che spingono le imprese a impegnarsi a raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio da qui al 2050, e a presentare delle misure credibili che rispondano agli obiettivi di Parigi, coniugano il profitto con una visione della realtà ecocompatibile e a misura d’uomo e di natura. Il passaggio ideale dalla COP21 alla COP26, cioè da Parigi a Glasgow, deve avere come parole chiave collaborazione e inclusione. In fondo, l’Accordo di Parigi nasce perché sia i paesi ricchi che quelli poveri hanno capito che, oltre alla eticità e salubrità di certe iniziative su larga scala, c’era, c’è e ci sarà anche un forte motivo di opportunità economica, una nuova frontiera dell’impresa, della politica e del mondo del lavoro. Su queste basi, sia etiche che utilitaristiche, si stanno per accendere i fari su Glasgow, che dovrà continuare a lavorare sull’inclusione, il sostegno finanziario e operativo agli angoli del mondo più in difficoltà, con progetti come l’”Adaptation Action Coalition”, diretto alle comunità più provate dalla crisi economica e pandemica.

In conclusione, la pandemia da Covid 19 ci ha fatto capire, come mai prima, quanto sia fondamentale agire coralmente, con il mondo che aiuta se stesso mediante la cooperazione tra stati. La lotta al riscaldamento climatico dovrà mai più essere un aspetto marginale della politica internazionale, ma la protagonista del nuovo assetto capitalistico e umanitario allo stesso tempo. Ogni risorsa diplomatica andrà usata nel migliore dei modi, per raggiungere gli alti obiettivi di ecocostenibilità e solidarietà prefissati, dai prossimi summit del G7 e del G20, orientandoli con fermezza verso l’auspicabile ripresa verde. Proprio il temibile virus che ci minaccia da più di un anno, ci ha fatto capire che un mondo sofferente e sfruttato in modo selvaggio e disomogeneo, opererà inevitabilmente e suo malgrado a discapito della qualità e della durata della nostra stessa vita, trascinando verso il baratro l’economia, inevitabilmente condizionata dalla precarietà e la sofferenza che rischia sempre più di circondarla.

A fine febbraio, le Nazioni Unite hanno lanciato un segnale di allarme ben chiaro, un rapporto di “allerta rossa” sugli obiettivi di riduzione delle emissioni in ottica 2030, molto lontane dalla tabella di marcia che si era prospettata a Parigi nel 2015.