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AMBIENTE E ENERGIA
Luci e ombre della politica ambientale cinese
 

Il Dragone resta il primo inquinatore globale

 
 
 

Il risultato per il quale la COP 27 di Sharm El Sheikh sarà ricordato è lo stanziamento di un fondo loss & damage, per le perdite ...

 
 

 

lunedì 28 novembre 2022

 

 

Il risultato per il quale la COP 27 di Sharm El Sheikh sarà ricordato è lo stanziamento di un fondo loss & damage, per le perdite e i danni subiti, finalizzato a sostenere i Paesi più colpiti dalla crisi climatica, da parte degli Stati più ricchi. In questo contesto l’Europa ha chiesto a gran voce che la Cina, considerata ancora fra i Paesi in via di sviluppo, anche se negli ultimi 30 anni ha visto crescere la sua economia di 50 volte, rientri nel novero dei Paesi donatori.

La posizione di Pechino in merito alla questione climatica, è ambigua poichè al suo ruolo di nuova grande potenza economica mondiale – secondo gli analisti si appresta a superare gli Stati Uniti – non corrisponde, nonostante buoni propositi e ambizioni, una presa d’atto in ottica green economy. La Cina ha annunciato soluzioni ad alta tecnologia per risolvere le sue complesse sfide ambientali e l’utilizzo delle innovazioni nei big data, nelle biotecnologie e nell’intelligenza artificiale per affrontare l’inquinamento e il cambiamento climatico.

Il Paese resta però oggi il primo inquinatore a livello globale e il più grande utilizzatore al mondo di centrali a carbone che Pechino considera strategiche per il suo sviluppo economico. Lo conferma il fatto che le fonti fossili continuano a contare ancora per circa il 60% dell’energia utilizzata in Cina, anche se la percentuale si è ridotta rispetto alla media del 75% registrata nel periodo 1990 – 2010.

Nello stesso tempo però il governo del Dragone ha dimostrato di essere molto attivo nella ricerca e sviluppo delle tecnologie legate alle fonti di energia rinnovabili, che continuano a rappresentare la risorsa primaria per affrontare la sfida del cambiamento climatico a livello globale. E proprio grazie alla sua posizione di leadership nei settori green, il gigante asiatico può vantare una performance climatica che appare allineata agli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030.

Il Centre for Research on Energy and Clean AirCREA ha infatti evidenziato che, a fronte del consumo di fonti fossili, diversi indicatori relativi all’impronta green della sua economia, siano sulla buona strada: investimenti in energia pulita, elettrificazione, emissioni del settore edilizio e vendite di veicoli elettrici ne sono solo alcuni esempi. 

I dati sembrano avvalorare questa tesi se è vero che, le ultime analisi condotte, evidenziano una riduzione dell’8%, pari a 232,6 milioni di tonnellate di CO2 emesse in atmosfera, nel secondo quadrimestre 2022. La cifra è da record, la più alta almeno da 10 anni a questa parte, sia in termini relativi che assoluti. 

Il nuovo report della IEA, An Energy Sector Roadmap to Carbon Neutrality in China, evidenzia però dati meno positivi come a esempio il fatto che, nel 2022, gli investimenti nell’espansione della capacità installata di centrali a carbone e il volume della capacità industriale in settori come quello del ferro e dell’acciaio, ad alto utilizzo di fonti fossili, siano in netta crescita.

Il risultato di questa posizione è che, se dal 2021 le emissioni climalteranti in atmosfera prodotte da Pechino continuano a scendere e prefigurano uno scenario globale in miglioramento, dall’altro gli analisti del CREA – Centre for Research on Energy and Clean Air – ci riportano però alla realtà. Il rapporto China’s Climate Transition: Outlook 2022 dello stesso istituto evidenzia infatti che, con un consumo di fonti fossili che continua a crescere, il calo registrato negli ultimi dieci anni, non può che rappresentare una fase momentanea e non certo una tendenza consolidata nel medio – lungo periodo.

Lo stesso istituto di ricerca precisa inoltre che il picco di emissione di gas serra di Pechino, previsto entro il 2030, nonostante l’impegno profuso nella promozione delle fonti rinnovabili, potrebbe non essere stato raggiunto a causa dell’utilizzo massivo di quelle fossili. Il che porta i ricercatori a ipotizzare che le politiche energetiche, e climatiche, del Dragone non siano ancora allineate con i percorsi di transizione richiesti in ambito internazionale.

Il CREA sottolinea inoltre che, a questo ritmo l’economia cinese continuerà a generare più del totale delle emissioni climalteranti emesse in atmosfera, dalla sola Europa. È quindi evidente, concludono al CREA, che qualsiasi sforzo profuso dagli altri Paesi per rendere più sostenibile e meno inquinante l’economia mondiale, risulterà vano senza un cambio di rotta del Dragone asiatico.

Nel 2022 gli investimenti nell’espansione della capacità installata di centrali a carbone è risultata in netta crescita