FOCUS
Il gas fossile nei Balcani rallenta la transizione energetica europea
Si temono danni per ambiente e salute pubblica
Sono 21, per un impegno di spesa di 3,2 miliardi di euro, i progetti legati alle nuove infrastrutture per lo sviluppo del gas fossile nei ...
mercoledì 6 aprile 2022
Sono 21, per un impegno di spesa di 3,2 miliardi di euro, i progetti legati alle nuove infrastrutture per lo sviluppo del gas fossile nei Balcani, che sono stati appena stati approvati da Bruxelles. Si tratta, nello specifico, di strutture di collegamento tra la Macedonia e la Grecia e tra il Kosovo e l’Albania. Ma questo è bastato per allertare le associazioni green di tutta Europa.
Il contesto legato alla crisi globale, e dell’UE in particolare non auto – sufficiente dal punto di vista energetico, è ben nota e i confronti nei diversi consessi internazionali per affrontare, e superare, la dipendenza energetica europea dall’estero, sono avviate da tempo. L’opinione degli analisti è che questi non abbiano portato finora a soluzioni e strategie a breve termine per limitare il fabbisogno del gas russo, nell’ottica del prossimo autunno/inverno.
La probabile riapertura di alcune centrali a carbone in giro per il Vecchio Continente, che anche il Governo Draghi ha annunciato in Italia, è una di queste e, com’era prevedibile, ha suscitato un certo timore da parte degli ambientalisti preoccupati per una potenziale frenata alla corsa della transizione energetica che, grazie ai fondi del PNRR, doveva trovare il definitivo slancio.
Non solo, sono in molti a considerare il ritorno al combustibile fossile per eccellenza, il carbone, una soluzione solo temporanea, dalla quale allontanarsi appena superata l’attuale crisi bellica.
Il rapporto “Flagships or Red Flags?”, della rete ambientalista Bankwatch, evidenzia ora nuovi scenari “di sistema” che fanno pensare quanto le promesse fatte a livello comunitario, non siano state rispettate.
E che la direzione intrapresa da alcuni paesi, soprattutto dell’Europa Orientale, è quanto mai lontana dagli scenari più auspicabili. Le 17 ONG ambientaliste hanno infatti osservato come alcuni fra i progetti appena approvati dalla UE, non siano in linea con la politica ambientalista dell’Unione e con gli obiettivi prefissati in tema di sostenibilità ambientale.
Il che accerta le preoccupazioni di molti, fra analisti ed esperti del settore, che vedono palesarsi il tentativo di ovviare alla crisi energetica che, gioco forza, preme anche nell’Europa balcanica, attraverso la promozione del gas fossile. Gli analisti di Bankwatch rilevano come i progetti, molto onerosi e finanziati attraverso i fondi europei, non costituiscano la valida alternativa per la transizione energetica nella regione.
Una strategia che peraltro, sempre secondo gli studi di Bankwatch, è destinata a legare i Balcani al gas fossile, e non alle energie pulite, per decenni e a rallentare, se non fermare lo sviluppo delle rinnovabili, come previsto a livello internazionale.
I timori della Comunità Internazionale in materia sono confermati da Iona Ciuta, coordinatrice della campagna “Beyond Coal” che ha ribadito, dopo anni di ricerche nell’area, che i Paesi balcanici e la Serbia in particolare, utilizzano ancora combustibili fossili e carbone per la produzione di energia. Che deriva peraltro, a complicare lo scenario, da impianti costruiti negli anni ’60, quindi vetusti e per lo più non in linea con le normative di settore.
I dati del rapporto “Comply or close” 2021, pubblicato sempre da Bankwatch, ha evidenziato a comprova che solo le sette centrali a carbone serbe, producono più emissioni delle 221 centrali a carbone in Europa. Con le emissioni di biossido di zolfo (SO2), gas considerato pericoloso per la salute umana, che sono risultate sei volte superiori ai limiti consentiti.
Con gli obiettivi di transizione “carbon free” dell’intera economia comunitaria sempre più lontana!
Il dato però più preoccupante, secondo gli istituti internazionali, non si rivolge al percorso della transizione ecologica, ma a quello della salute pubblica. “Comply or close” ha dimostrato che le emissioni climalteranti provenienti dai Balcani hanno causato nei Paesi dell’Unione Europea quasi il doppio delle vittime che nei Balcani (2.400 contro 1.300 nel 2020) di cui 605 solo in Italia con un conseguente danno, a livello economico, di quasi tre miliardi di euro.
Di queste vittime, quasi 200 sarebbero riconducibili alle emissioni derivanti dalla produzione di elettricità poi esportata verso l’Unione europea. Il motivo secondo la Ciuta è chiaro: ovvero che l’Europa importa l’elettricità prodotta dalla Serbia e da altri Paesi dei Balcani occidentali a prezzi molto inferiori.
Gli esperti di Bankwatch rimarcano che la zona interessata costituisce una “retro guardia”, non da oggi, restia a un concreto sviluppo e rilancio delle fonti di energia rinnovabile: sia del solare che dell’eolico in particolare, e a una più generale razionalizzazione dei consumi energetici. La prova della veridicità di quanto affermato da Bankwatch è la reticenza, mostrata della maggior parte dei Governi di quei paesi, nell’impegnarsi in scadenze condivise con la comunità internazionale, per la transizione energetica sostenibile al 2050.