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AMBIENTE E ENERGIA
L’oceano dimenticato dalla politica internazionale
 

Scienziati in apprensione per il polmone del pianeta

 
 
 

L’oceano non è solo una immensa distesa d’acqua che occupa il 71% della superficie del pianeta, ma, grazie alle sue dinamiche biologiche, chimiche e fisiche, ...

 
 

 

lunedì 13 dicembre 2021

 

 

L’oceano non è solo una immensa distesa d’acqua che occupa il 71% della superficie del pianeta, ma, grazie alle sue dinamiche biologiche, chimiche e fisiche, costituisce una sorta di “sala macchine” che consente, sin dalle sue origini, la vita sulla Terra.

E, da quando le attività umane hanno fatto impennare le emissioni di gas a effetto serra, è proprio questa pompa biologica a rallentare il ritmo del cambiamento climatico e la violenza del suo impatto.

Senza le interazioni dei mari con l’atmosfera, il calore intorno al globo terrestre sarebbe già insostenibile da tempo.

Ma fin quando l’oceano potrà ricoprire questo ruolo?

La questione preoccupa gli scienziati ma non è ancora sufficientemente presa in considerazione dalla politica internazionale.

Questo è quello che si è evinto guardando alla recente COP26 di Glasgow, dove ci si è limitati ad appelli generici che invitano “la comunità mondiale a prendere delle misure ambiziose in favore della salute degli oceani”.

Senza considerare che nel 2015, con gli Accordi di Parigi, la delicata questione non era stata neanche menzionata.

Eppure gli equilibri di questa fonte di vita potrebbero un giorno spezzarsi, senza decisioni e interventi opportuni.

Gli scienziati stanno osservando i cambiamenti della temperatura dell’acqua, delle correnti marine e della biodiversità.

Queste evoluzioni potrebbero infatti favorire un ulteriore considerevole aumento della CO2.

Si sono già osservati i risultati negativi prodotti dal degrado di grandi foreste come l’Amazzonia, problema che ha suscitato un ampio dibattito e una crescente volontà della politica internazionale di intervenire.

Anche se la sorte delle microalghe commuove meno l’opinione pubblica rispetto a quella dei grandi alberi, l’oceano merita più delle foreste tropicali il titolo di “polmone del pianeta”.

La fotosintesi del plancton vegetale consente infatti alle acque di assorbire CO2 e produrre ossigeno, ma con l’aumento delle temperature questo fenomeno perde una parte della sua efficacia, a danno dell’aria che respiriamo e della biodiversità marina sempre più scarsa.

Tutto questo va di pari passo con l’acidificazione degli oceani, dovuta alla decrescita del valore del pH oceanico, causato dalla assunzione di origine antropica di anidride carbonica dall’atmosfera.

Gli scienziati intanto continuano le loro ricerche, ma il problema è ormai evidente in tutta la sua gravità.

La politica non può più ignorarlo, e il solo parziale richiamo alla questione fatto a Glasgow deve essere preso e rilanciato con azioni concrete da organizzazioni quali l’ISA (Autorità internazionale dei fondali marini), la CCAMLR (Commissione per la conservazione della fauna e della flora marina dell’Antartico), e soprattutto l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), per dare un futuro alla vita sul nostro pianeta.

La fotosintesi del plancton vegetale consente alle acque di assorbire CO2 e produrre ossigeno, ma con l’aumento delle temperature questo fenomeno perde una parte della sua efficacia, a danno dell’aria che respiriamo e della biodiversità marina sempre più scarsa.